lunedì 28 settembre 2015

Il fardèllo



Un vecchio bar in riva al mare, un’orchestrina jazz che suona una vecchia canzone di Billie Holliday. Un bicchiere di whisky in mano, una sigaretta dopo l’altra e la mente che viaggia sull'onda dei ricordi. 

Ti rivedo mentre entri nel locale. Sei così bella e altèra, consapevole della tua bellezza, ti siedi al bancone, tiri fuori una sigaretta. La stringi tra le labbra marcate da un rossetto vermiglio. Aspetti.

Le fiammelle di una decina di accendini come piccole lucciole tremolanti ti danzano attorno. Tu scegli la mia e non smetti di fissarmi. Aspiri grosse volute di fumo e continui a fissarmi. Che cosa vedi in me? Il tuo sguardo penetra, cerca, rimescola, ascolta, intimidisce. Azzardo una frase, ma mi zittisci. «Le parole possono rovinare questo momento. »

Vuoi che ti conosca attraverso quei meravigliosi occhi verdi che riflettono la bellezza delle praterie d'Irlanda. Ingresso della tua anima dove io passeggio tra le lapidi dei sogni infranti, delle false speranze di calcare palcoscenici patinati, da stella del jazz e falsi amori: piccoli tasselli di pietra della delusione. Qualcuno ha spento quella voce, rubando la tua ingenuità, incanalandoti nell’oscuro vortice del compromesso. Trascini le tue serate da un locale all'altro, cantando per abitudine, ingollando gin. Scruti volti nascosti dalla penombra fumosa, cerchi un segno che ponga fine alla disperata ricerca di un amore. È l’unica speranza che ancora alberga nel tuo cuore malato. Cerchi un uomo che riconosca cosa si nasconde dietro quel viso troppo truccato, maschera indossata per poter continuare a vivere.

Usciamo dal locale, la brezza marina rinfresca la notte. Ti stringi a me ubriaca di tristezza, come se fossi l'unico uomo rimasto sulla terra. Mestamente mi chiedi se voglio compagnia.  Io non ho la forza di afferrare un pezzetto della tua anima e trasformarlo in pietra. Non rispondo. I tuoi occhi s'illuminano; speri che io sia l'amore che cercavi, dopo averlo tanto agognato. Ti accompagno a casa e non so cogliere il momento. Davanti al portone ti volti e con un vezzo delicato: alzi il braccio, salutandomi. Scompari, inghiottita dal buio di quel vecchio palazzo. In quel gesto ho rivisto la tua ingenuità perduta e comprendo il carico di pregiudizi che mi porto dietro, non mi ha permesso di andare oltre. Il mio è un fardello più grande del tuo.

Sono tornato spesso in quel bar, pentito perché mi era mancato il coraggio. Avevo la vana speranza di incontrarti per chiederti perdono.  Tu non c'eri. 

Tu il mio splendido usignolo dalla voce roca... avrai finalmente trovato pace?

Non lo saprò mai!




Alessandro Lemucchi ©

Tutti i diritti riservati.
Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni.
foto: dipinto Fabian Perez


sabato 19 settembre 2015

Uno stralcio dal mio romanzo inedito Lusinda



Il protagonista incontra Roberta e s'innamora. Sarà poi vero?

Un pomeriggio, mentre prendevamo un aperitivo, il discorso cadde su di noi e anche se, io ero poco propenso a lasciarmi andare, perché bloccato dalla corazza di cinismo che mi ero costruito negli anni e che mi teneva al riparo da qualsiasi coinvolgimento amoroso, sentivo di potermi fidare. Lei era diversa da tutte le donne che avevo conosciuto: la sua dolcezza, il suo modo semplice di vedere le cose e le piccole attenzioni che mi riservava, stavano iniziando a fare breccia nel mio cuore. Era tutto così delizioso e spontaneo perché veniva direttamente dal profondo.

In me si stava verificando un cambiamento. Una situazione su cui non avevo alcun controllo razionale, si andava tracciando. Ero spaventato.

Una sera appena usciti dal ristorante, sotto una luna complice, scorsi nei suoi occhi una luce nuova. Nel suo sguardo vedevo un nuovo sentimento: l’amore. Capii che non le bastava più l’amicizia... voleva qualcosa in più. Se ne stava lì silenziosa con la sua mano teneramente stretta alla mia. Attendeva un cenno, una parola, sembrava quasi implorare. Le sue difese erano abbassate; coraggiosamente si era esposta, le parole non servivano, la dolcezza che aveva negli occhi parlava per lei.

Desideravo baciarla. Questo desiderio non era unico di quella sera; dentro di me era cambiato qualcosa. La volevo.
Sentivo che senza di lei, nulla sarebbe stato più lo stesso.

Il lavoro insieme era quasi terminato, volevo dichiararmi già da qualche tempo, ma avevo paura. Paura di perderla a causa del mio passato; non vedevo alcuna soluzione. Se non le dicevo nulla, lo avrebbe potuto scoprire in seguito e sicuramente mi avrebbe lasciato, perché le avevo mentito. Altrimenti le potevo confessare tutto subito, con il dubbio che, anche in quel caso, avrebbe potuto abbandonarmi. Scelsi comunque la seconda soluzione, anche se traumatica, ma la meno dolorosa in caso di un suo rifiuto, poiché la nostra non era ancora una relazione. Il motivo per cui andavo contro a tutto ciò in cui credevo, era perché non volevo ferirla.

La feci sedere su una panchina, le presi le mani chiudendole tra le mie e iniziai a parlare. Dapprima con esitazione poi timore, ma quella dolcezza che avevo visto nei suoi occhi m’infondeva coraggio.

Le parole uscivano facilmente dalla mia bocca, e a ogni cosa che raccontavo mi sentivo più leggero, come se mi fossi tolto un peso che opprimeva l’anima. Mi sentivo capace di amarla senza riserve. La paura del rifiuto era ancora forte, finii il discorso con un sospiro liberatorio.

Ci fu un attimo di silenzio che mi sembrò interminabile... il mio cuore stava per scoppiare.

Ora ero io che la supplicavo con gli occhi e lei, come al solito, mi stupì. Prese il mio viso tra le mani e, dolcemente, poggiò le sue labbra sulle mie. Spinto dal bisogno di scaricare la tensione accumulata, ricambiai il bacio con foga. Era questo l’amore?


Alessandro Lemucchi ©

Tutti i diritti riservati.

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni.