Un vecchio bar in riva al mare, un’orchestrina jazz che suona una vecchia canzone di Billie Holliday. Un bicchiere di whisky in mano, una sigaretta dopo l’altra e la mente che viaggia sull'onda dei ricordi.
Ti
rivedo mentre entri nel locale. Sei così bella e altèra, consapevole della tua
bellezza, ti siedi al bancone, tiri fuori una sigaretta. La stringi tra le
labbra marcate da un rossetto vermiglio. Aspetti.
Le
fiammelle di una decina di accendini come piccole lucciole tremolanti ti
danzano attorno. Tu scegli la mia e non smetti di fissarmi. Aspiri grosse
volute di fumo e continui a fissarmi. Che cosa vedi in me? Il tuo sguardo
penetra, cerca, rimescola, ascolta, intimidisce. Azzardo una frase, ma mi
zittisci. «Le parole possono rovinare questo momento. »
Vuoi
che ti conosca attraverso quei meravigliosi occhi verdi che riflettono la
bellezza delle praterie d'Irlanda. Ingresso della tua anima dove io passeggio
tra le lapidi dei sogni infranti, delle false speranze di calcare palcoscenici
patinati, da stella del jazz e falsi amori: piccoli tasselli di pietra della
delusione. Qualcuno ha spento quella voce, rubando la tua ingenuità,
incanalandoti nell’oscuro vortice del compromesso. Trascini le tue serate da un
locale all'altro, cantando per abitudine, ingollando gin. Scruti volti nascosti
dalla penombra fumosa, cerchi un segno che ponga fine alla disperata ricerca di
un amore. È l’unica speranza che ancora alberga nel tuo cuore malato. Cerchi un
uomo che riconosca cosa si nasconde dietro quel viso troppo truccato, maschera
indossata per poter continuare a vivere.
Usciamo
dal locale, la brezza marina rinfresca la notte. Ti stringi a me ubriaca di
tristezza, come se fossi l'unico uomo rimasto sulla terra. Mestamente mi chiedi
se voglio compagnia. Io non ho la forza
di afferrare un pezzetto della tua anima e trasformarlo in pietra. Non
rispondo. I tuoi occhi s'illuminano; speri che io sia l'amore che cercavi, dopo
averlo tanto agognato. Ti accompagno a casa e non so cogliere il momento.
Davanti al portone ti volti e con un vezzo delicato: alzi il braccio,
salutandomi. Scompari, inghiottita dal buio di quel vecchio palazzo. In quel
gesto ho rivisto la tua ingenuità perduta e comprendo il carico di pregiudizi
che mi porto dietro, non mi ha permesso di andare oltre. Il mio è un fardello
più grande del tuo.
Sono
tornato spesso in quel bar, pentito perché mi era mancato il coraggio. Avevo la
vana speranza di incontrarti per chiederti perdono. Tu non c'eri.
Tu
il mio splendido usignolo dalla voce roca... avrai finalmente trovato pace?
Non
lo saprò mai!
Alessandro
Lemucchi ©
Tutti i diritti
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Opera pubblicata
ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue
modificazioni.
foto: dipinto Fabian Perez
foto: dipinto Fabian Perez