lunedì 26 maggio 2014

Vanessa







Il vicolo era a malapena illuminato; soltanto un unico lampione, come un riflettore di teatro, proiettava il suo fascio di luce su Vanessa. Un palcoscenico che recitava l'ultimo atto di una commedia dal finale incerto: incerto, come i pensieri che affollavano la sua mente. Vanessa era fuggita via, come una ladra, dalla porta posteriore del locale alla moda di Beverly Hills. E dall'ennesima festa deludente. Prendendosi una tregua, nell'appoggiarsi al muro del vicolo, in modo innaturale. Voleva prendere fiato dalla vita, perché sentiva di aver oltrepassato il limite di sopportazione. La sua gamba tesa a spingere quei mattoni ruvidi, anneriti dallo smog; la testa riversa, i capelli in avanti coprendo il corpo scoperto dal soprabito. Sentiva il peso delle scelte sbagliate e malediceva il giorno in cui aveva conosciuto Alexander. Si proprio lui... lui che era stato l'artefice del suo successo. Da quell'incontro, lei vide la sua vita cambiare; divenne un'artista internazionale, amata e ammirata da tutti. La fama ha però il suo risvolto negativo: logora. Vanessa perse la sua vera e dignitosa essenza nel dare sempre il massimo. La sua anima fu svuotata, prosciugata dal potere e dal materialismo. Mai nessuno aveva compreso la sua fragilità di donna, anzi, invidiavano la sua prorompente personalità. Fermavano lo sguardo in superficie, e sulla maschera che esponeva in scena. Ma lei era molto altro.

Quando era arrivata a Los Angeles, aveva portato con sé i suoi sogni. Nata nel Texas, in mezzo ai cavalli, perché suo padre possedeva un ranch dove li allevava. Vanessa amava gli animali, in particolar modo i delfini, a cui ambiva nella dedizione quotidiana. Diceva sempre a tutti che sarebbe andata in California a studiare, dopo di che voleva nuotare con quegli splendidi mammiferi. E addirittura cavalcarli. Il padre avrebbe voluto che lei seguisse le sue orme, ma la lasciò inseguire i propri sogni. La sua dolce farfalla doveva volare. All'università incontrò Tania, con ben altri sogni, infatti, studiava cinematografia. Vanessa fu persuasa da Tania ad integrare allo studio un corso di recitazione. Fu un anno felice perché lo studio di biologia e il corso di recitazione la divertivano, rendendola solare e spensierata. A fine corso misero in scena una commedia di Shakespeare: "Sogno di una notte di mezza estate". Il regista le aveva affidato la parte di Titania, perché lei oltre ad essere bella, era anche molto brava. In tutte le cose che faceva, metteva l'anima. Alexander era un produttore emergente, sempre alla ricerca di nuovi talenti, nuove promesse da lanciare nel patinato mondo cinematografico. Frequentava locali, campus e qualsiasi altro posto in cui si recitava. In uno di questi ritrovi aveva sentito il regista, in preda ai fumi dell'alcol, si vantava di aver scoperto un talento nato. Uno di quelli che nasce una sola volta ogni generazione. Curioso e determinato, non volle farsi sfuggire l'occasione: andò alla rappresentazione teatrale. La recitazione di Vanessa lo lasciò estasiato. Da quel momento lei non ebbe più pace. Lui era un uomo affascinante, determinato e molto sicuro di sé. Iniziò a farle una corte spietata: fiori, regali, inviti a cena nei locali più esclusivi. Tania sua complice, gli fornì i particolari intimi della sua vita. E Alexander aveva capito dove far leva per attirare la sua attenzione. Riuscì persino a farla nuotare con i delfini: aveva realizzato il suo sogno. Con la sua parlantina coinvolgente e persuasiva, riuscì ben presto a conquistarla. Quell'uomo le dava sicurezza, sentendosi libera e ribelle, la forza di lui le dava coraggio . Dovuto anche al rapporto col padre, che l'aveva trattata sempre come una principessa.

Innamoratasi di Alexander, seguiva a lettera tutti i suoi consigli: il book fotografico che la vecchia Vanessa non avrebbe mai fatto, le prime pubblicità che svilivano il suo talento. Da ultimo suo film divenne il primo, per la mediocre critica ma con un successo strepitoso al botteghino, primo in classifica per diverse settimane. Era la consacrazione della Diva. Vanessa credeva nell'amore e pendeva dalle labbra di Alexander; ma per lui non erano gli stessi sentimenti. Era un manager che viveva per gli affari, considerando Vanessa soltanto un limone da spremere per trarne più profitto possibile. Vanessa veniva consumata dalla girandola dei party, dalle stressanti apparizioni, dalla cocaina che lui le offriva per non farla cadere nella stanchezza emotiva e fisica. Le sue ali di farfalla bruciarono come quelle di una falena troppo vicina a un lampione. Lui l'aveva manipolata a tal punto, che non ebbe più forza di reagire; sino a quella sera. Seduta nel privè, con la compagnia costante di Tana, a tirare coca e bere alcol, fino allo stordimento. Mentre Alexander se ne stava da un'altra parte, a trattare con probabili investitori; Vanessa su accorse che stavano parlando di lei. L'uomo con fare mellifluo, le andò vicino, iniziò a toccarla, a palparla. Sentì la rabbia crescerle dentro; come un tornado, furibonda, si alzò e prese a schiaffi Alexander. Gli sputò addosso tutto il veleno che ingoiava da anni. Prese il soprabito e mentre si accingeva ad andare via, prese una coppa di champagne e glie la versò addosso, dicendogli: " la mia dignità non è merce da vendere. Io avrò fatto anche scelte sbagliate, ma tu resti un fallito. Pur avendo il tuo cumulo di soldi, non potrai mai "comprare" la dolcezza che solo una donna sa dare. Io, dopotutto, resto sempre la bambina dei cavalli. Mentre tu, un lurido, sporco, misero uomo!” E scappò dalla porta posteriore. Vanessa amava quell'uomo... ma quando l'uomo che ami ti ferisce, tu lo ripaghi con tutto quello che, in piccole dosi, hai ingoiato amaramente per lunghi anni. Ora appoggiata a quel muro, avvertiva il respiro tornare alla normalità. Non sentiva più il peso sull'anima di quel macigno; si era ripresa ciò che, di più bello e prezioso, le apparteneva. La sua vita e la sua libertà. 



Alessandro Lemucchi ©


venerdì 9 maggio 2014

10.000 metri



Cisco, l'American Towers, il Golden Gate. Non ho mai passato un periodo più bello nella mia vita. Tutto ha avuto inizio da un veloce viaggio di lavoro ma, per uno scherzo del destino, sono rimasto sei mesi. Devo precisare che galeotto fu l'aereo. Avevo un posto in business class; era un volo notturno, ed ero solo nello scompartimento, ragion per cui venni coccolato dalla hostess. Sempre attenta e professionale, bellissima donna; parlava italiano con un accento molto sexy. Il volo non era dei più tranquilli: frequenti vuoti d'aria, mettevano a dura prova l'equilibrio di Liane. All’ennesimo vuoto, mi cadde addosso rovesciando il drink, imbrattando la camicia. Premurosa, si offrì di smacchiarla; la tolsi, mentre lei chiudeva la tenda. La situazione per me era comica, e nel vedere che la cosa mi divertiva. Liane si rinfrancò. Temeva che le facessi rapporto. Tra alti e bassi il volo procedeva; nell’attimo in cui mi porgeva la camicia, un altro vuoto la spinse contro di me, le labbra sulle mie. Presi la palla al balzo, premendo con impeto le mie contro le sue, pensando che tutto sommato mi sarei beccato un ceffone. Ma lei ricambiò e fu subito passione. Ebbi la sensazione di conoscerla da sempre: le nostre mani intrecciate, i corpi uniti, labbra che si cercavano mai sazie. Con i vuoti d'aria che aumentavano a dismisura il piacere. La caduta libera, con il vuoto che ti penetra dentro, era un'esperienza grandiosa, che io e Liane godemmo appieno. Tra di noi l'attrazione era tanta da indurmi a rimanere in città. Approfittando del brevetto di pilota che avevo, nei giorni liberi affittavamo un aereo per fare sesso tra le nuvole. I nostri amplessi erano sublimi, ogni volta sempre più coinvolgenti, sempre con qualcosa di nuovo da scoprire. Era la nostra droga. Non ho più fatto l'amore con tale ardore e passione; ma la sola passione non riesce ad alimentare l'amore. Così quella storia finì come era cominciata. In un vuoto d'aria e con un vuoto nel cuore.




(Viaggi nell'immaginario)


Alessandro Lemucchi ©


Tutti i diritti riservati
Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni.

mercoledì 7 maggio 2014

L'estate sta finendo

L'estate sta finendo, recitano i versi di una canzone, la spiaggia è più silenziosa ed è l'ideale per le mie passeggiate, ma non sono l'unico ad amare la tranquillità.
Avevo notato una donna che, come me amava la pace: se ne stava li seduta sulla sabbia a leggere un libro.
Una mattina le feci un cenno di saluto e lei ricambio sorridendo: nei giorni seguenti, avemmo lunghe chiacchierate. Era una donna fantastica, oltre ad essere bella, era colta e intelligente: con lei si poteva affrontare qualunque argomento.
Una sera la invitai a cena, aveva un’eleganza innata sia nel vestire, sia nelle movenze: delicate ma con un pizzico di malizia. Mi ricordava Agnes, la protagonista di un romanzo di Milan Kundera: l’immortalità.
All'inizio i nostri incontri, erano fatti d’innocenti passeggiate per ammirare mano nella mano un tramonto, ma una sera mi chiese di restare da lei. Ero impaurito perché non volevo rovinare quell'amore semplice, che ricordava quello degli adolescenti, che si avvicinano titubanti alle pulsioni che si scatenano nei loro corpi. Purtroppo quei tempi per noi erano passati da un pezzo: la nostra era, una relazione complicata, c’eravamo avvicinati, perché le nostre rispettive storie erano agli sgoccioli, tirate avanti solo per abitudine.
 In quella stanza c'erano tutte le nostre aspettative, fermi al centro non sapevamo cosa fare, mi feci coraggio e presi il suo viso tra le mani, lei tremava non che avesse paura: mi aveva confidato, che oltre a suo marito, non aveva mai avuto altri uomini. Con delicatezza sbottonai la camicetta di raso: la pelle era vellutata la baciai delicatamente le mie mani scorrevano sulla schiena, feci saltare la chiusura del reggiseno, era perfetta.
Miei Dei cosa avevo fatto per aver accanto questa donna meravigliosa, continuai a baciarla. Eccitata, in preda ad una passione a lungo repressa, strappo via la mia camicia: esplorando ogni centimetro del mio corpo, mi baciava e mi mordeva. Il desiderio aumentava, gli ultimi vestiti caddero, avvolti nel vortice della più sfrenata lussuria, viaggiavamo verso lidi sconosciuti e al culmine del piacere, sentii le nostre anime che si univano: vibravano all'unisono e la melodia era paragonabile al crescendo di violini della primavera di Vivaldi. Stanchi ma felici e appagati ci guardammo negli occhi e capimmo che da quel momento non ci sarebbero stati più ostacoli al nostro amore, lo avremmo vissuto giorno dopo giorno , assaporandone ogni attimo come se fosse l'ultimo.

Alessandro Lemucchi ©
Tutti i diritti riservati

Pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni.Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni.